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Patrick Zaki uno di noi

  • Immagine del redattore: Federica D'Isita
    Federica D'Isita
  • 11 nov 2021
  • Tempo di lettura: 7 min



Patrick Zaki è uno studente dell’università di Bologna e attivista egiziano che il 7 Febbraio 2020 è stato arrestato all’aeroporto del Cairo dalle autorità egiziane e, ancora oggi, è detenuto in carcere.

Qual è la sua colpa? Quella di combattere per i diritti umani.


Ho deciso di intervistare Andrea Carcuro, studente di Scienze Politiche, realazioni internazionali e diritti umani per cercare di far luce sulla storia di Patrick Zaki e sulla sua situazione attuale.



1) PERCHE’ TI SEI APPASSIONATO ALLA STORIA DI PATRICK ZAKI?

Questa storia mi sta molto a cuore perché Patrick poteva essere tranquillamente un mio amico, un mio compagno di corso, uno di quelli che incontri tra una pausa e l’altra all’università e con cui scambi due chiacchiere. Penso che la storia di Patrick debba essere nella mente e nel cuore di tutti noi per diversi motivi. In primis perché la sua storia ci aiuta a vedere la bellezza dell’Italia, cosa che noi cittadini italiani o europei spesso dimentichiamo. Secondo, questa vicenda ci fa capire quanto siamo fortunati in ambito universitario e quanta libertà accademica abbiamo rispetto ad altri paesi come l’Egitto.



2) RACCONTACI LA SITUAZIONE ATTUALE DI PATRICK

Seguo da un anno e mezzo la vicenda e non immaginavo potesse arrivare a questo punto.

Patrick è un detenuto e prigioniero di coscienza dal 7 Febbraio 2020. Sono passati più di 600 giorni dall’inizio della sua detenzione preventiva, e fino a settembre non era stato mai sottoposto a nessun processo e non ha mai avuto la possibilità di difendersi.

La prima udienza è avvenuta il 28 settembre 2021. Inizialmente lo studente era stato accusato per la sua attività di ricerca, difesa dei diritti umani e il suo ruolo di attivista. In particolare i capi d’accusa del mandato di arresto erano: propaganda sovversiva al regima, diffusione di notizie false, terrorismo e minaccia alla sicurezza nazionale. Ma nella prima udienza le carte in tavola sembrano cambiare perché subentra un’altra accusa. Patrick passa ad una possibile condanna di 5 anni in carcere per aver scritto un articolo sulla rivista Daraj in cui parla della minoranza cristiano-copta nell’alto Egitto. Tutte le altre accuse sembrano essere state dimenticate e ciò fa sperare in un risvolto positivo della vicenda.

La prossima udienza, a differenza delle precedenti, non è stata rinviata tra 45 giorni (come era successo dal 7 febbraio) ma di 75 giorni, per cui Patrick andrà nuovamente a processo il 7 Dicembre 2021.



3) SECONDO TE COSA DOVREBBE FARE IL GOVERNO ITALIANO E PERCHE’ NON LO STA FACENDO?

Penso che il governo italiano potrebbe fare molto di più per questa vicenda. L’Egitto è un partner economico del nostro paese e gli scambi commerciali che l’Italia intrattiene con lui sono numerosi. Per me il Governo italiano dovrebbe smetterla di commerciare navi o armi a un paese che non rispetta i diritti umani. La nostra costituzione vieta la vendita di armamenti a paesi che non rispettano i diritti umani e l’Egitto chiaramente non rientra in questo patto. Da ragazzo appassionato di diritti posso dire che in materia di diritti non ci possono essere negoziati.

Francamente dubito che si possano fare passi avanti da questo punto di vista.



4) DARE LA CITTADINANZA ITALIANA A ZAKI PUO’ SERVIRE A LIBERARLO?

Considero Patrick a tutti gli effetti un cittadino italiano perché è un ragazzo molto legato all’italia. In tutte le lettere che scrive non dimentica mai Bologna e come l’Italia l’ha accolto dandogli un'occasione. Dargli la cittadinanza sarebbe un grande segno di vicinanza nei suoi confronti.

Però, a mio parere, la donazione della cittadinanza cambierebbe poco la situazione perché per il sistema giuridico autoritario di al-Sisi non avrebbe alcuna rilevanza. Forse andrebbe ad aumentare la pressione diplomatica nei confronti dell’Egitto.


5) PERCHE’ ZAKI è ANCORA IN CARCERE?

La dittatura di al-Sisi reprime da anni i dissidenti all’interno del paese. Sono persone sottratte alla vita civile e pubblica che vengono letteralmente zittiti e violentati pubblicamente. Zaki è visto come un pericolo perchè è un ricercatore dei diritti umani che ha fatto luce sul sistema repressivo dell’Egitto.

Ultimamente in Egitto è successa una cosa che mi ha fatto ben sperare perché c’è stata la revoca dello stato di emergenza per i dissidenti sui diritti umani, che era in vigore dal 2017. Questo stabiliva il ritorno al sistema ordinario dei processi e delle udienze con la presenza di avvocati. Si sperava anche in una cancellazione delle accuse di terrorismo per chi, come Zaki, si occupava di diritti umani. Ma purtroppo questo non è avvenuto per grandi processi come quello di Patrik e altri studenti che come lui non sono stati favoriti.



6) COME STA AGENDO IL REGIME?

Il regime utilizza un meccanismo detto a porta girevole: si formula sempre un nuovo capo di accusa allo scadere della detenzione preventiva di due anni. In questo meccanismo monotono l’udienza viene rinviata ogni volta di 45 giorni. Lo scopo è far dimenticare il caso di Patrick trasformandolo in una NON-NOTIZIA.

Ma il ruolo fondamentale è stato giocato dall’opinione pubblica, dall’attivismo, dalle grandi campagne di Amnesty International, dalla raccolta firme, che hanno contribuito a non far morire il caso di Patrick.

Lui stesso nell’ultima udienza dice a una giornalista “Voi non mi dimenticate, io torno”. Questo per dire che un’attenzione bassa porterebbe il suo caso fuori dai riflettori e quindi conseguenze negative per lui.


7) COSA POSSIAMO FARE NOI NEL NOSTRO PICCOLO PER CAMBIARE LA SITUAZIONE?

Quello che possiamo fare noi come cittadini, è parlare continuamente di questa vicenda, informarci, interrogarci. Io nel mio piccolo ho provato a tenere alta l’attenzione su di lui lanciando l’hashtag #thinkingofPatrick.

Una delle immagini più belle è la gigantografia di Patrick a Bologna disegnata da Gianluca Costantini e che a mio parere è il simbolo della lotta della sua liberazione.

Per informarsi ancora di più ti consiglio un documentario di Valerio Lomuzio su Repubblica Tv intitolato Waiting for Patrick che ripercorre la storia di Patrick, dando voce ai suoi compagni di corso e ai suoi amici.

Interessante è anche il libro di Marco Vassallotti intitolato Voglio solo tornare a studiare #freepatrick che raccoglie tutto quello che è successo da quel lontano 7 Febbraio 2020.



8) COME VIENE TRATTATO PATRICK IN CARCERE?

Dopo che è stato arrestato nell’aereoporto del Cairo, nei primi giorni è stato sottoposto all’elettroshock ai genitali e a numerose torture e pestaggi, qualcosa che deve essere straziante da vivere ogni giorno. Spero non sia ancora in questa situazione. Purtroppo, sappiamo che vive in condizioni disumane: dorme per terra, non ci sono condizioni igienico-sanitarie dignitose (lui è un soggetto asmatico). Lamenta forti dolori alla schiena e soffre di depressione.



9) COME FA A SCRIVERE MESSAGGI?

In carcere Patrick ha poco tempo per studiare, leggere e scrivere. Periodicamente incontra i suoi genitori e raramente ha la possibilità di recapitare messaggi (che verranno comunque filtrati prima di essere divulgati). I suoi messaggi, oltre ad essere un grido di aiuto sono anche un inno alla forza, come se stesse prendendo coscienza della sua forza interiore. Emblematica è la frase “Voglio solo tornare a studiare” che in qualche modo è diventata un simbolo della sua storia e che ci fa capire come Patrick sia uno studente come tutti noi, che vuole solo ritornare alla vita universitaria di Bologna. Spesso non ci rendiamo conto del grande privilegio che abbiamo nel poter studiare e di quanto siamo fortunati a poterci esprimere.

In particolare, mi ha colpito il suo ultimo messaggio perché si congratula con i suoi amici di corso che si sono appena laureati. Questo fa capire quanto Patrick sia una persona altruista. In una condizione come la sua non si preoccupa per sé e ti tutto quello che può capitargli ma pensa ai suoi amici.

Ci tengo a dire che quella di Patrick è una battaglia che dovrebbe riguardare tutti noi. I diritti non si acquisiscono per “merito” e tutti devono averli indistintamente. Noi sappiamo che Patrick era uno studente eccellente, ma anche se non fosse stato così il discorso sarebbe identico.



10) PENSI CHE ANDRA’ A FINIRE COME GIULIO REGENI?

Credo e spero di no. La vicenda di Giulio Regeni deve essere da insegnamento e monito per noi. Fortunatamente il caso di Zaki non è caduto nel buio come quello di Regeni. Grazie alla mobilitazione dal basso e alla forza dell’attivismo c’è tanta luce sulla vicenda di Zaki. Tutti ci siamo fatti un’idea sull’Egitto e su come opera.



11) C’E’ UN’ULTIMA COSA CHE VORRESTI DIRE?

Vorrei fare un appello a tutti i giovani ma non solo. A chi non conosce il caso di Patrick consiglio di informarsi, perché la sua storia ci fa capire quanto siamo fortunati a vivere in Italia e a quante opportunità abbiamo come studenti. Tutti abbiamo da imparare da questa vicenda e spero che Patrick stesso possa un giorno raccontarci che cosa ha realmente vissuto.

Sapevo che lui non avrebbe mai potuto leggere i miei messaggi, però l’idea è quella che quando Patrick tornerà avrà la dimostrazione di questo affetto che l’ha sempre circondato e che lui ha sempre percepito, anche da lontano.

Di storie come Patrick ce ne sono tantissime, ma lui è l’emblema di questa lotta di diritti umani.

Penso che i diritti dovrebbero appartenere a tutti indipendentemente dal colore politico! In qualsiasi ambito: dalla tampon-tax, al DDLZAN, al caso di Patrick e a qualsiasi altro tema che tocca i diritti di qualsiasi persona non dovrebbe esserci questa campagna politica, perché con i diritti non si fa politica. I diritti devono appartenere a tutti. Se i diritti per cui Patrick si è sempre battuto (e che ironia della sorte proprio a lui sono mancati) venissero a mancare a tutti noi, non avremmo più dubbi su come agire. Io ho provato ad immedesimarmi nella sua storia perché se fossi stato io al suo posto mi sarei sentito esattamente come lui.

Dobbiamo tenere sempre alta l’attenzione sulla nostra democrazia perché è la cosa più preziosa che abbiamo. Qualcuno tanti anni fa ha conquistato questi diritti per noi ed è nostra responsabilità difenderli perché è un qualcosa che si può perdere in un attimo, ma poi per riconquistarli ci vogliono anni e anni.




Ringrazio Andre per questa conversazione e devo dire che ammiro molto la sua tenacia, curiosità e la voglia di parlare di Patrick e di ciò che purtroppo gli sta succedendo. Sono convinta che questa storia, in fondo, riguarda tutti noi e il mondo in cui viviamo quotidianamente, in cui tutti abbiamo delle responsabilità, nessuno escluso.

Quello che mi sono sempre chiesta è: dobbiamo sempre vivere le cose in prima persona per crederci sul serio e combatterle? Perché non ci interessiamo ai problemi degli altri fino a quando non ci colpiscono in prima persona?

Penso che a volte serva solo un po’ di empatia. Capire che la storia di uno può essere la storia di molti, e chissà magari un giorno anche la mia o la tua.

Spero che un giorno Patrick possa essere finalmente libero, ritornare a Bologna, passeggiare per Via Zamboni, guardare la sua gigantografia in Piazza Maggiore e pensare “ce l’ho fatta, è stata una sporca guerra, ma abbiamo vinto insieme”.




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