Catcalling e il peso delle parole.
- Federica D'Isita
- 5 mag 2021
- Tempo di lettura: 3 min

Ho sempre creduto nella potenza e nella forza delle parole. Le parole creano, demoliscono, annientano, definiscono. Sono così potenti da delineare i pensieri e trasformare di conseguenza il mondo in cui viviamo.
In questi giorni si parla tantissimo di catcalling. Ma che cos’è esattamente? Violenza? Paura fisica o psicologica? Appena questo termine è entrato in circolo e l’ho sentito per la prima volta mi è subito apparso in mente un episodio infelice che ho vissuto anni fa e che credevo di aver dimenticato.
Era un giorno come un altro verso l’ora di pranzo ed io stavo camminando verso casa dopo un’intensa giornata a scuola. Quel giorno ad accompagnarmi in quel tragitto c’era un'amica che qui chiamerò Giada. Non la conoscevo benissimo, amiche forse è un po’ esagerato; però quel giorno avevamo deciso di farci compagnia.
Mentre parliamo del più e del meno improvvisamente una macchina sfreccia all’impazzata di fianco a noi suonando il clacson a gran volume, per poi proseguire la sua corsa a zig zag lungo la strada. La prima cosa che ho pensato è stata: “Ma cosa fa? Questo è fuori di testa o ha bevuto”. Chi mi conosce sa che non ho paura di dire quello che penso. Sono una tosta. Così nell’adrenalina del momento ho fatto un gesto impulsivo, di difesa, per alcuni forse stupido o eccessivo per la situazione (dopotutto potevo tirare dritto e fregarmene). Invece non contenta ho guardato la macchina e con uno sguardo di sfida ho alzato il dito medio urlando “CRETINOOOO”. Aveva fatto una cosa sbagliata e pericolosa e per questo andava punito in qualche modo e quello mi sembrava il modo più efficace per farlo. Ma la situazione si ribaltò in fretta. Nella sua corsa pazza e disperata vedo il veicolo frenare, inchiodare bruscamente e iniziare una retromarcia pericolosa verso la mia direzione. Mi si gela il sangue. Tutto avrei pensato tranne una reazione del genere. Per un gesto e una parola di troppo ora dovevo pagarne le conseguenze. Vedo l’abitacolo nero sfrecciare nel senso opposto e per giunta nella mia direzione. Ho paura. Mi scanso più in fretta possibile e vedo la macchina fermarsi a fianco a me. Giada mi guarda spaventata, percepisco che è terrorizzata. Un tizio che francamente non ricordo (poteva essere chiunque) abbassa il finestrino e mi urla con la voce impastata “cosa hai detto puttana?”.
Io sono impassibile.
Mi ha chiamata puttana? Ma fa sul serio? Io che non avevo mai baciato un ragazzo. Puttana io? Nulla di me lo fa pensare. Quelle parole mi hanno colpito, mi hanno ferito, mi hanno annientato. Io, che non ho problemi a dire quello che penso mi sento per la prima volta senza parole. Con voce spezzata riesco solo a dire “Giada andiamocene”. E così corriamo verso un’altra direzione nascondendoci sul retro di una casa. Vorrei piangere, vorrei urlare, vorrei prendere la targa, vorrei fare mille cose. Ma sono bloccata, la fronte madida di sudore. Il cuore sembra aver smesso di battere, il corpo pare stretto in una morsa appoggiato a quelle pareti ruvide. Alla fine non è successo nulla, la macchina se n’è andata e noi siamo tornate a casa. Di sicuro poteva andare molto peggio.
Alcuni leggendo questa storia penseranno subito “te la sei cercata” o anche “pensavi davvero che avesse tirato dritto facendo finta di nulla?”. Non so cosa rispondere. Forse sì forse no.
Ma non è questo il punto. In quell’esatto momento in cui ho percepito di essere in pericolo mi sono sentita piccola, indifesa, codarda. Io che ho sempre voglia di spaccare il mondo mi sentivo paralizzata, a disagio, inerme di fronte a una situazione più grande di me che non sapevo come gestire. Quel ragazzo poteva essere chiunque, poteva essere il vicino mezzo pazzo o un ragazzo comune che aveva bevuto un bicchiere di troppo. Chiunque avrebbe fatto finta di nulla, oppure nella mia condizione si sarebbe sentito debole di fronte a una violenza del genere.
Voglio sperare in un mondo migliore in cui ognuno si senta al sicuro e libero. Libero di fare una passeggiata a qualsiasi ora senza ricevere suonate di clacson da chi passa per strada, libero di indossare una minigonna corta senza pensare ai possibili insulti che riceverà. Libero di urlare, amare, ridere, piangere, senza essere giudicato.
Concludo con una citazione di Confucio che dice: “Quando le parole perdono il loro significato, le persone perdono la libertà”.
Le parole hanno un peso, definiscono il mondo e modellano il pensiero.
Basta fingere che le parole non abbiamo valore. Il catcalling esiste e va combattuto.
Dedicato a tutte quelle persone che subiscono violenza ma non hanno il coraggio di reagire.

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